martedì 25 settembre 2012

fori er verde

«Paolo! Che ci fai qui?» «Sono venuto a trovare mio padre in casa di cura. Alzheimer. Spero che tu non abbia mai quest'esperienza [faccio scongiuri sul freno di sinistra]. Io mi sono ammalato. Devo rifare le analisi, ma non sto bene.» Racconto che stona nel viso incorniciato da fittissimi capelli rossi, da una camicia a fiorami, da una erre non arrotata, da me in pantaloni corti, una pizzetta ingrata nel tascapane, l'aria provata. Laudato sii per i racconti che ascolto ogni giorno. Laudato sii per la fine dell'estate, che attendo con un senso di fatalità incombente, con la voglia di divorarne ogni acino, ogni regalo di mezze giornate, ogni ultimo bagno sempre rimandato: finché, un giorno, non ci sarà più tempo per la ripresa del bel tempo dopo la prima perturbazione atlantica, niente più scirocco se non astioso e piovigginoso. Laudato sii per sora nostra scampagnata, che mi porta a rubare il tempo che non ho, a caricare la bicicletta sul treno, a sferragliare per lo sterrato. E laudato sii anche per nostro fratello lago, scavato all'interno di un vulcano, isolato nella campagna, silenzioso, in cui nuoto da solo dopo averne scalato la pendice. Appena arrivato, deposta la bicicletta, vado per spogliarmi. E finalmente, non essendoci nessuno, tra gli alberi odorosi, spero di spogliarmi senza armeggiare con l'asciugamano per mettermi il costume. Improvvisamente: «aaaalt!». Mi giro, e alle mie spalle si materializzano venti-venticinque soldati. Si fermano. Si girano verso il lago. Sono tutti armati. Una scena surreale. Per un attimo penso: ora mi sparano. Prendono la mira e mi crivellano di colpi. Si siedono, poi, scambiandosi poche e rade bestemmie in vari dialetti, chi mette il cane e chi il porco, chi prima, chi dopo. La mia donna sentendomi al telefono dice: e farebbero bene a spararti. Io però sono lì, ribatto, per lavorare: sono le apparenze che mi condannano. Ho un'opera da scrivere, eh!, e in effetti mi ci metto. Un'ora, e risolvo già qualche problema di struttura. Basta e avanza. Nuoto dunque energicamente nell'acqua fredda, i soldati sono andati via, il vento muta direzione e spazza via tutta la nuvolaglia: i 737 in virata fanno ombra sul lago, un tremolio di grigio-celeste, armenti. Nulla di male mi può venire da qui, mi dico: è il mio posto-simbolo, non troppo remoto, non sempre affollato, ma con la civiltà a conveniente tiro. E poi igienico, lavacro ideale, una volta superata la chiostra di alghe affioranti a pochi metri dalla riva. E per nostra sorella boccia, approdo sicuro nel corpo misterioso delle nostre sorelle femmine. E per i piedi smaltati sopra le spalle, o che premono sui fianchi. Laudato sii anche per nostro fratello Tirreno, con le sue alghe inesauribilmente mosse, torbido al maestrale. E per i forti costruiti alla periferia di Roma, e ora inglobati nella città, costringendo le strade a lunghe inesplicabili volute; e per tutte le periferie, che si nettano pian piano della loro estraneità, che si regolarizzano. Suono al nuovo indirizzo dei miei futuri padroni di casa. Una signora dalla penombra dell'andito mi apostrofa: «Che è Stefano, quello con il cane?». Domanda bizzarra: perché è lei ad avere il cane. «Ah, lei non vive qui. Ora vedo. Però da lontano un po' v'assomijjate. L'avevo presa per Stefano.» «Signora, spero sia un complimento per me e per Stefano.» «Ma te sei proprio bello», mi dice. L'abbronzatura di stamattina fa conquiste, penso. Laudato sii per la melanina, e per il crepuscolo che indora la targa della Guardia di Finanza, lì, sul Forte Aurelio.

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