Il Secondo concerto di Brahms ha accompagnato tutti i momenti più importanti della mia vita, che è naturalmente molto meno importante del Secondo concerto di Brahms. Da venticinque anni, ogni tanto, mi capita di ascoltarlo quasi per caso, dopo che venticinque anni fa sceglievo di mettere su quel vinile (a proposito, chi l'avrebbe mai detto che anni dopo mi sarei trombato la nipote di uno degli interpreti) anche sei, sette volte al giorno, come ogni bravo nerd compulsivo; e anzi dal vinile feci una cassetta, che mi accompagnava spesso in giro per gli autobus di Roma. Mi ricordo un giorno, tornavo da casa di Stefano a casa mia, ci si metteva ore ed era difficile avvisare che avrei fatto tardi per cena, eppure la distanza nel tempo si è progressivamente accorciata, tanto che avrei potuto ascoltare solo una volta il concerto di Brahms nel tragitto, non come allora, che la cassetta girava e rigirava nel walkman mentre il 23 lasciava il posto al 46, implacabilmente spiaggiato sulle rampe dell'Aurelia. Stefano, come ogni vero Romano, non si è spostato dalla sua vecchia casa alla nuova dove vive con moglie e figli che di cinquecento metri in linea d'aria. Io, peraltro, alla fine non ho fatto diversamente. Ho le mie discolpe, ma la verità è che Roma non solo ti impedisce di andartene se non a prezzo di sofferenze, ma ti incatena alla routine dei parchi e delle pasticcerie sotto casa - e sì che tante volte ho cambiato casa: e ora sono pur qui. Ma a differenza di tante altre cose, alcune di pessimo gusto, che ascoltavo in quell'estate del 1989 in cui aspettavo che la casa al mare tornasse libera e dunque potessimo tornare, dalla finestra aperta del quarto piano un sentore d'agosto simbolico, tutto asfalto e la sera il gelsomino e la magnolia, il Secondo concerto di Brahms ha mantenuto ogni volta la sua simbolicità, quello sì, non come l'agosto romano che progressivamente è diventato un agosto come tutti gli altri, l'agosto dei quindici anni come quello dei quaranta, e allora come adesso tutto parla di declino, di morte, di inquietudine almeno: e il Secondo concerto no. Era con me una mattina a scuola, sempre captato in filodiffusione e ascoltato en cachette durante la prima ora - non sono mai riuscito a interromperlo. Era con me in un capodanno a C*** con la Pennellona, un capodanno che fu il nostro ultimo insieme e di cui ho un ricordo pessimo, nonostante fossimo andati a Mantova, ma della gita a Mantova non ricordo nulla, di quel capodanno ricordo l'odore pessimo della casa che avevo in subaffitto, l'acqua arancione che usciva dalle condutture con un borborigmo e un'allure gassosa, ricordo un sesso sporadicissimo e pessimo, da vecchia coppia di neanche due anni, film d'animazione che mi angosciavano, insonnie, nebbia. Mentre preparavo la cena di Capodanno, la vecchia radio se ne uscì col Secondo concerto di Brahms, e solo questo ha salvato il Capodanno e forse pure la storia con la Pennellona è da salvare per quell'apparizione improvvisa. Da venticinque anni non riesco a trattare criticamente il Secondo concerto di Brahms. Mi chiedo se mi avessero domandato un programma di sala per il Secondo concerto di Brahms che cosa avrei fatto, se finalmente avrei potuto trattare criticamente, o brillantemente ma involutamente come sempre ho scritto i miei programmi di sala, il Secondo concerto di Brahms: naturalmente sì, per soldi ho fatto di peggio. Ma mi sarei comunque sentito a disagio, non si raccomanda per un posto di lavoro il proprio migliore amico, non lo si opera, non lo si può trattare con la familiarità che solo si riserva alle persone amiche ma estranee, non al migliore amico, che dunque non è "familiare", ma conserva sempre qualcosa che ce lo rende caro ma sconosciuto, impredicibile e caro, potrebbe fare qualunque cosa e ci sarebbe cara e ci sorprenderebbe, tutto sommato, con la paura che un giorno tutto quest'equilibrio potrebbe rompersi e diventare familiare, ossia abitudinario, e se non discaro sicuramente meno prezioso. Il Secondo concerto di Brahms, ma anche il mio migliore amico, con cui mi intendo senza comprenderlo e anche temendone un po' gli scarti, è stato sempre con me, anche su questo terrazzo in cui la donna a ore ha strappato un bellissimo fiore giallo selvatico. Per lei, un'erbaccia. Avrei dovuto dirglielo. Per fortuna nella radio ascolto il Secondo concerto di Brahms, che è naturalmente più importante della vita del fiore giallo, e della mia, come ho già detto, e che mi sorprende sempre, e che ascolto senza un briciolo di critica, come se non dovesse dirmi nulla, ma fosse, esistesse, e basta. Lo riporto a normale accadimento radiofonico oggettivandolo - fumando un sigaro mentre lo ascolto, piluccando due righe da un libro, ma il concerto è sempre più forte, più inconoscibile, modula quando me l'aspetto ma non per questo la modulazione è meno sorprendente, ogni suo gesto - anche quando quasi mi forzavo a emozionarmi e a lacrimare al termine del crescendo nel trio, mi disprezzo per questo meno di altre cose che ho fatto recitando l'intenditore di musica, imitando l'inimitabile come fanno tutte le persone che imitano, e sicuramente dal disprezzo salvo il Secondo concerto di Brahms, che è tutt'altro che sentimentale, ma naturalmente è anche sentimentale - ogni suo gesto, dicevo, mi accompagna al termine di se stesso, del Secondo concerto di Brahms, che però non termina, riverbera nel mio umile e intasato pianterreno, sfida il rumore del traffico che si attenua e ricresce pian piano che il pomeriggio avanza, mi accompagna a ricominciare la mia fatica quotidiana che è sempre più faticosa e pallida imitazione della vita che meriterebbe il Secondo concerto di Brahms, mentre il fronte occidentale porta turbini e sferza la città, ma addolcito, come se sapesse che da qualche parte il concerto potrebbe apparire, e impedire ad ogni elemento il suo naturale corso.