Domani mi opero. Non è una vera operazione, è una serie di interventi agli occhi. Così mi dico, per pavidità, scaramanzia (del resto proprio ieri mi è venuta la congiuntivite, e ti pareva: ho gli occhi gonfi e paurosi, mezzo papà Goriot e mezzo vecchio che stamattina, una borsa piena di bottiglie di plastica, ho salutato e poi risalutato al parco per essere sicuro che stesse bene, ripensamento dei pavidi, appunto), che domani potrei non rileggere quello che scrivo, o non riscriverlo. Ma mi resta l'udito, che è diventato più pigro, meno esatto, ma più reminiscente, più attento, più felice al discrimine. Così mi trovo a riconoscere una colonna sonora di Detto Mariano; così mi ricordo Aida non nell'esatta interpretazione del disco che ho ascoltato di più, che poi se riascolto non sembra più così bello, ma in quella che mi sono forgiato con gli anni, e dunque mi commuove questa, che ho nel capo, non quella che sentirei recuperando il disco. Di questo sono orgoglioso, perché mi pare che uno dei due figli unici di cui mi sono occupato in vita mi abbia, infine, concesso udienza - è il caso di dirlo. Oggi il vento da sudovest gonfia le nuvole su uno strato di liscivia brumosa, è la fine dell'estate. Aderisco al mio terrazzino e rifiuto di mettermi un collirio. Le tinte mi paiono già slavate, lampi popolano la mia retina e la mia imaginativa, come direbbe Dante. La radio parla di fotografia, la cui sopravvalutazione è aumentata costantemente negli ultimi decenni e dunque raduna, per fortuna, i finti artisti. Io - non ho più voglia di scrivere. A luglio ho messo giù una paginetta di un coro, mi pare di aver fatto forse abbastanza, o forse mi sento pronto a ricevere commissioni che non arriveranno, mi sento pieno di attesa per la mia seconda giovinezza. Mi vedo marciante sul ciglio della valle dell'Inferno, in senso geografico, il Cupolone incombente, l'orografia pazzesca della città a nordovest, se guardi bene le doppie cime di Santa Maria maggiore, di Villa Medici, antenne, chiese, campagna, e perché mai un pollice davanti agli occhi debba essere più grosso del Monte Gennaro. E tutto questo potrebbe non esserci, ma probabilmente ci sarà lo stesso. Sarò in grado di esitare tra il detto e il sottratto, tra il rendimento di grazie e il fervore, tra la fedeltà e la tendenza a scampagnare, a non invecchiare, se mai tutto andasse bene? Edifici in cortina e parcheggi sotterranei mi accolgono, le piastrelle del mio terrazzo mi danno, a undici mesi dal mio arrivo qui, un senso improvvisorio, ma impermanente.